Sono convinto che sia necessario un salto, uno scarto, una soluzione di continuità nel modo di proporsi della sinistra non PD.
Ho letto un articolo de il Sole 24 ore in cui si descriveva la distribuzione del vantaggio elettorale della Lega sugli altri partiti: la Lega va meglio in provincia e in periferia ed è votata sia da chi vuol cambiare perché si trova in una situazione si disagio, sia da chi teme di peggiorare la propria situazione di agiatezza.
Le due categorie, così differenti, in pratica complementari, mi hanno indotto a chiedermi cosa abbia potuto indurre persone portatrici di motivazioni cosi diverse a fare la stessa scelta. Mi è parso di individuare il tratto comune nella sensazione di affidabilità che Salvini è riuscito a suscitare nel suo elettorato. (solo la sensazione, ma è bastata).
Quella parte dell’elettorato che condivide i valori della Sinistra, non riconosce analoga affidabilità ai partiti della Sinistra ed ai suoi leader, né per lealtà e attenzione verso i compagni di percorso, né per efficacia nel gestire il ruolo di guida.
D’altro canto alcuni tra loro si fanno vanto di una imprevedibilità tattica, che fuori dall’ambiente politico viene considerata un grosso difetto: l’ inaffidabilità.
Si dirà che Salvini non è certo un campione di affidabilità, lui è riuscito ad apparire simile al suo elettorato, “uno di loro”.
E questo in democrazia porta consenso.
I leader che hanno guidato i partiti della Sinistra hanno avuto diverse occasioni per dar prova di sé. Occupano posti di responsabilità da molti anni e da più tornate elettorali.
Dopo quest’ultimo insuccesso mi chiedo se abbiano pensato seriamente di passare la mano.
Temo che non abbiano intenzione di farlo
Il fatto è che non credo si possa affidare a loro la conduzione di una stagione nuova.
D’altro canto dai tam tam che sento susseguirsi in ordine alla responsabilità per la costruzione di “un fronte contro la destra” si comincia a sentire una forte voglia di ammucchiata.
In questo sono facilitati anche da tanti che in buona fede chiedono l’unità.
In effetti l’unità è “conditio sine qua” non per perseguire efficacemente un obiettivo.
Quindi: unità per fare cosa?
Per gestire “alla meno peggio ” la situazione esistente, coi Calenda e i Renzi? Io direi anche no. I Calenda e i Renzi sono stati propedeutici per la vittoria delle destre e non otterremmo altro che di fare opposizione con qualche punto percentuale in più.
Per tornare a competere e magari vincere ci vuole un progetto, conosciuto e condiviso.
Il “green new deal” non sarebbe male, ma chi lo conosce? E chi lo ha vagliato ed accettato tra coloro cui chiederemmo di votarlo?
Abbiamo un sacco di lavoro da fare prima di diventare una forza politica capace di esprimere una proposta di governo., inscritta in una visione del mondo un minimo coerente. Prima cominciamo meglio è.
Queste considerazioni non implicano necessariamente che col Partito democratico non si possano fare percorsi comuni, ma per farli il PD dovrebbe mettere in campo una svolta effettiva e consistente delle proprie politiche economiche nella direzione di una attenzione ai bisogni delle persone (sanità e ambiente, scuola e lavoro) che lo porterebbero lontanissimo dalle politiche renziane. Non sembra avviato in quella direzione.
Il cambiamento della segreteria appare più che altro come un cambio di facciata.
No?
E allora facciano delle proposte accettabili su sanità, scuola, lavoro e ambiente.
Non bastano a salvarsi l’anima i diritti LGBT e lo ius soli. Sui migranti la gestione Minniti delle migrazioni e la cattiva gestione dell’accoglienza di questi anni è una concausa del successo di Salvini; riconoscerlo e
analizzare la questione migrazioni con umanità e senso di responsabilità insieme, potrebbe contribuire ad un credibile inizio di dialogo.
In assenza di questi punti di convergenza qualsiasi tipo di alleanza sarebbe un “cercare riparo” non particolarmente onorevole.