Basta non comprare. E dirlo forte.

Nutro da tempo una forte diffidenza nei confronti della pubblicità. Diffidenza dovuta al fatto che le riconosco una profonda capacità di fare opinione o, meglio, di fare “sentiment” (=umore). L’opinione infatti ha una sua componente analitica, razionale che non è scontata nel sentiment. Di più che è consapevolmente elusa. 
La pubblicità lavora più o meno scopertamente a livello di ventre, di “Es” direbbe Freud. Di istinti animali: fame e sete, sesso, paura del dolore e della morte.

Alcune pubblicità più raffinate (e costose) raggiungono i loro obiettivi in modo sussurrato, elegante. Fino a diventare forme d’arte. 
Altre comunicano sguaiatamente.
Tutte le forme però generano il modo condiviso di agire e di reagire della nostra società. Ecco il motivo della diffidenza di cui vi parlavo.
Sotto potete vedere delle foto che sono un esempio: persone, donne, umiliate. 
Profondamente umiliate.


Guardare queste immagini ci rimanda al tema dell’umiliazione del corpo dei poveri, su cui sarebbe utile avviare una riflessione articolata: in occidente e nel XXI secolo il corpo umano è una merce e gli unici disponibili in quantità adeguata sono i corpi dei poveri. Che non hanno altro da vendere. 

Poi tra i corpi in vendita o disponibili al noleggio, sulla cui vita si rimane indifferenti, in vetrina vanno soprattutto i corpi femminili, merce meglio commerciabile, appetibile a consumatori maschi, generalmente più ricchi delle femmine e socialmente più accettati come consumatori. Utilizzatori finali. Ricordate?

Vogliamo chiederci quale atteggiamento mentale può rivestire chi assorbe questi messaggi? Vogliamo chiederci quale relazione può esservi tra queste foto e gli episodi di femminicidio? Non mi pare una relazione flebile.


Io credo che chi perpetra queste campagne pubblicitarie vada punito. con forza e determinazione

Mi piacerebbe che si decidesse di non comprare i prodotti pubblicizzati in questo modo e farlo sapere in giro. Chi vuole fare pubblicità impari a rispettare e se non è capace rispettare le persone fino a trattale da manichini imparerà a rispettare i clienti e le clienti. non è il massimo ma può essere l’inizio di un cammino.

Silvia Romano. Aiutiamoli a casa loro.

Questo lo slogan di una certa parte d’Italia nei confronti dei migranti che bussano alle porte del nostro paese in cerca di quella pace e di quella serenità che non trovano più nel proprio paese.

Un’italia impoverita dal temendo mix di Austerità ed inefficienza che negli ultimi anni ha tolto servizi sanitari, scolastici, di formazione di assistenza, riducendo il welfare all’osso e rosicchiando pure quello.

Silvia RomanoQuesta Italia impoverita e smarrita cerca di uscire da questo stato di miseria sopravvenuta e crescente e non riesce, cerca di organizzarsi per venirne fuori e trova Grillo e il suo caravanserraglio di personaggi da “GF Parlamento” a portarli in giro, allora cerca un colpevole che non sia irraggiungibile e Salvini glielo offre: il migrante che “costa trentacinque o più euro al giorno” e toglie il lavoro. E Salvini promette di eliminare questa piaga e di schiacciare il “buonismo” perché devono venire “prima gli italiani” e i soldi devono andare alle pensioni che la Fornero ha allontanato.

Un finto salvatore per un finto riscatto.

Ma intanto…

Gli italiani infelici hanno trovato uno sfogo e la rabbia sorda, la bile ha trovato un canale per uscire fuori e mostrarsi e allora gli italiani non si auto rappresentano più come “brava gente”, ma come gente stanca di essere stata maltrattata, che si sente in diritto di accanirsi sugli altri. Tutti gli altri.

Gente capace di picchiare per un parcheggio, di uccidere per una lite condominiale, di accapigliarsi per dell’olio di semi in offerta speciale al supermercato; capace financo di offendere una ragazza che i poveri del pianeta va ad aiutarli a casa loro,  in Kenia, in un orfanotrofio.

Una ragazza, questa Silvia Romano tanto attiva e volenterosa quanto vorremmo fossero i nostri figli, sportiva, studiosa, generosa, appassionata… tanto coraggiosa come alla fine un po’ temiamo possano essere i nostri figli. Capace di passare oltre il livello delle parole e di andare a lavorare in un orfanotrofio in Africa per una ONG.

Le offese che le sono rivolte in queste ore, mentre è prigioniera dei suoi rapitori, mentre i suoi cari sono terrorizzati, ci mostrano con chiarezza quanto la nostra gente si sia imbruttita ed incattivita. Come siamo nel mezzo dell’onda di piena di una mediocrità avvelenata, che non sopporta chi fa di più, chi si mette veramente alla prova per realizzare sogni ed idee, chi non si limita a condividere pensieri di altri sui social media, ma affronta veramente i problemi con coraggio e generosità, chi si muove come Silvia Romano.

Silvia torna presto.

Oltre a chi ti conosce e soffre per te in queste ore c’è un grande  pezzo di Italia che aspetta che tu torni.

Perché è di gente come te che questo nostro Paese ha bisogno.