L’articolo 49 della Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Dobbiamo evincerne che i partiti previsti dai Costituenti erano delle libere associazioni volte a determinare la politica nazionale con metodo democratico.
L’attenzione con cui invito a leggere questa norma è da focalizzare sulla locuzione “con metodo democratico”. I partiti immaginati dai Costituenti erano naturalmente, intrinsecamente “democratici”. Che vuol dire? La parola “democrazia” non è mai tanto abusata quanto nei momenti in cui viene messa sotto stress: l’Occidente ha “esportato la democrazia”, dalla Libia all’Afghanistan.
Appare palese che la democrazia non è articolo da esportazione. Ma poi quale democrazia? La democrazia liberale, come la conosciamo in Occidente, con pesi e contrappesi, poteri controllati e bilanciati? La democrazia Sovietica, ormai defunta nelle sue manifestazioni storiche? La democrazia plebiscitaria? O quella di investitura, per cui chi vince prende tutto?
E quest’ultima – la democrazia d’investitura, madre delle dittature – pare che stia diventando di moda negli ultimi tempi: i leader parlano direttamente alle masse e mal sopportano i “corpi intermedi”. Quei partiti, così come erano visti dai Costituenti, luoghi di confronto e di scontro di tesi, luoghi in cui si cercavano strade nuove e in cui le leadership venivano fuori nella battaglia delle idee (nelle migliori pratiche: non esistono paradisi in Terra).
Esiste poi una versione della democrazia fortemente condizionata dalle moderne conoscenze della scienza della comunicazione. Una sorta di incrocio tra la politica ed il marketing. Scoperta ed impiegata da Berlusconi, ha trovato un brillante rilancio in Grillo e nel M5S e una sorta di apoteosi in Salvini e nella Lega da lui condotta .
Berlusconi dal 1994 applicò le tecniche della pubblicità, da lui in buona misura controllata tramite le televisioni per far passare una serie di messaggi ben studiati, che costruirono la sua fortuna politica. La coppia Grillo-Casaleggio, dal 2010-2013 e fino ad oggi, produsse un miracolo forse addirittura più eclatante: applicando alla politica le tecniche del social marketing è riuscita – grazie alla potenza della figura di Grillo come “testimonial” e all’accorto uso di internet e social media, integrato dall’esperienza dei reality show – a creare dal nulla un partito senza un vero apparato valoriale di riferimento, ma estremamente attraente. Un partito di plastica.
Si sono limitati a manipolare le insoddisfazioni generate da anni di austerità e di mala politica, portando in giro le masse proprio come vuole l’etimologia del termine demagogo (conduttore del popolo). Il sistema ha funzionato perché i cittadini erano stanchi delle politiche che avevano accresciuto a dismisura le ineguaglianze e li avevano portati ad un diffuso malessere. Si può dire che fossero stanchi dello “stato del malessere“.
È stato possibile vincere le elezioni con un’esperta regia di marketing, che gestiva persone digiune di politica e di scienze sociali ed economiche (talvolta digiune di ogni sapere), ma rappresentative di fette di elettorato. Governare enti locali, e oggi addirittura lo Stato, diventa tutto un altro affare e a questo punto i commedianti recitano a soggetto, facili prede degli altri attori della scena politica, che sanno bene come funziona la macchina pubblica ed hanno un entourage tecnico amministrativo “di area” il cui senso di appartenenza è già collaudato.
L’alternativa per i nuovi politici del M5S è affidarsi a burocrati convertiti al nuovo corso, ma di improbabile fedeltà e la cui correttezza è tutta da verificare, come a Roma. O affidarsi a burocrati ostili ai vecchi partiti di governo, la cui ostilità magari ha origine in motivi nobili, ma non costituisce in sé garanzia di affidabilità. E il risultato più duraturo della vittoria elettorale del M5S è stato quello di portare la Lega, alleata di Orban e Le Pen al governo in Italia, uno dei paesi più grandi nell’Unione Europea.